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Protagonisti

Guido Maria Brera e ‘l’equilibro del diavolo’: la nostra intervista

La politica che abdica alle sue prerogative e lascia il potere alla finanza. E una élite di “monaci-guerrieri” che si ritrova, volente o nolente, a gestire il caos. Tra letteratura e stringente attualità, Maria Brera, uomo di finanza e scrittore, ci conduce nei meandri di un mondo in cui nulla è come lo si dipinge

Guido-Maria-Brera Credits: Foto Cosimo Buccolieri

La finanza? È la cinghia di trasmissione tra chi fa i soldi e chi ha le idee, e un mondo laico in cui impera la meritocrazia, dove il denaro è lo strumento di misura delle proprie capacità. Per questo l’avrebbe scelto Guido Maria Brera, cofondatore nonché Cio Asset Management del Gruppo di Kairos, che frequenta questo mondo da tempo, tanto da aver sentito nel 2014 l’esigenza di raccontarlo nel suo romanzo I diavoli, diventato oggi una serie internazionale di successo in onda su Sky Atlantic.

Nel febbraio scorso* ha pubblicato anche La fine del tempo, dove la storia del protagonista Massimo Ruggero continua a dipanarsi tra crisi finanziarie e politiche che coinvolgono i destini delle nazioni e di coloro che le abitano. E dove racconta – anche in questa intervista – come si possa morire di troppa finanza così come di troppo poca. Alla ricerca di un equilibrio di potere che la politica ha smesso ormai da tempo di cercare…

Partiamo dalla serie Diavoli, complimenti innanzitutto. È come se l’aspettava, o strada facendo ha assunto risvolti imprevisti? Di solito gli autori faticano a riconoscere le loro opere nelle trasposizioni.
Avendola seguita fin dalla nascita, come fosse un bambino, collaborando con gli autori di Lux Vide e con Sky, non posso che riconoscermi: è venuta esattamente come la immaginavo. Certo, è un prodotto completamente diverso dal romanzo, ma mi ci sono ritrovato. Farla per tutti è stato assumersi un grande rischio, non era semplice rendere il quadro d’insieme. Certo, la regia di Nick Hurran e l’interpretazione di Alessandro Borghi e Patrick Dempsey hanno contribuito in gran parte, ma ammetto che ci abbiamo lavorato tantissimo.

Che obiettivo vi siete dati?
La scommessa era realizzare una serie completamente diversa da quelle che si sono viste finora sulla finanza. Una serie che raccontasse questo dispositivo di controllo, uscendo dai canoni di rappresentazione tipici di quel mondo. Tale intento l’ha resa un’operazione complessa, quindi, molto difficile poi da trasporre sullo schermo.

Quali luoghi comuni avete voluto sfatare?
Che la finanza non è bretelle, cocaina, sigari e belle donne. Non è Gordon Gekko e Jordan Belfort.

A proposito della finanza come dispositivo di controllo… All’inizio della prima puntata, i protagonisti parlano della metafora del pesce che non sa di stare nell’acqua, al contrario degli squali che se lo mangiano. Ho trovato quest’immagine della pervasività del mercato abbastanza inquietante.
Diciamo che la finanza è pervasiva: è come l’acqua, di troppa acqua si muore, così come si muore di troppo poca acqua. Quindi, la finanza è uno strumento indispensabile che va dosato al giusto punto d’equilibrio; è quando si delegano tutte le decisioni alla finanza, che ci si assume un livello di rischio particolarmente elevato. E di fatto oggi la politica ha delegato le sue prerogative decisionali, essendosi ritirata dalle scene per dare mano libera alla finanza, confidando che il capitale potesse trovare un equilibrio all’interno del suo potere costituente. Solo che il capitale non ha un potere costituente, che è invece dell’uomo e della politica, il capitale è solo un algoritmo che si muove esclusivamente in base a logiche di profitto. La mia è una critica all’abdicazione che la politica pratica ormai da decenni, e non alla finanza. I diavoli sono quei monaci-guerrieri appartenenti a una élite, i quali – un po’ per mantenere i loro privilegi e un po’ per spirito di servizio – si fanno carico di governare il mondo rispetto al caos che ci travolge.

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Patrick Dempsey (a sinistra) e Alessandro Borghi nei panni di Dom in Diavoli (foto © Us Sky Italia/ Lux Vide)

Ma è pur sempre un governo demoniaco, di diavoli…
Non è così. Perché i diavoli del titolo non hanno un’accezione demoniaca, ma si ispirano alla figura del diavolo creata da un noto esperimento del fisico scozzese James Maxwell, che coinvolge il secondo principio della termodinamica; dove si parla appunto della figura immaginaria di un “diavolo” che, con il suo intervento, mette ordine tra le particelle per evitare l’inutile dispersione di energia. Chi ha letto il romanzo e chi vedrà la serie fino alla fine scoprirà il significato reale del termine.

I soldi che ruolo hanno in questo? Si parla di potere e di profitti, che sono sempre in funzione del potere. Dov’è l’amore per il denaro fine a se stesso?
Il denaro è e rimane uno strumento, un indice di potere. I monaci-guerrieri sono tutta gente che i soldi li ha già fatti, e che si ritrovano coinvolti in una sorta di esercizio del potere a cui a volte nemmeno ambiscono.

Quante di quelle devastanti speculazioni finanziarie post crisi del 2008 raccontate nella serie, dovremo aspettarci nei mesi post pandemia?
È vero, le vicende della serie si sono rivelate quanto di più attuale si possa immaginare. Mentre parliamo il nostro Paese è messo sotto giudizio dalle agenzie di rating, nella serie si racconta dell’Argentina che proprio in queste settimane è praticamente di nuovo in default, ci sono i mercati che guardano ai debiti pubblici degli Stati. Quindi, la storia raccontata nella serie è terribilmente attuale, e in questo credo stia la sua forza e la sua credibilità. Dico sempre che per Diavoli abbiamo lavorato seguendo le orme del futuro.

Cosa dobbiamo temere?
Le reti di protezione ci sono, anche se questa pandemia si è abbattuta soprattutto sui deboli; e noi siamo un Paese con un alto debito pubblico, quindi soffriamo di più, ma abbiamo anche un altissimo tasso di risparmio privato, il che ci garantisce in qualsiasi momento una via di uscita. Non dall’Europa, beninteso… ma dai problemi, perché volendo il nostro debito pubblico noi italiani possiamo anche ricomprarcelo per intero.

Guido-Maria-Brer

Era il 1994 quando Guido Maria Brera ha iniziato il suo percorso in Fineco, dove ha ricoperto il ruolo di gestore del fondo Cisalpino Bilanciato e del fondo Cisalpino Indice. In seguito è stato responsabile del proprietary trading di Giubergia Warburg. A 28 anni ha contribuito a fondare il Gruppo Kairos, attivo nel risparmio gestito, di cui attualmente è Cio Asset Management. È sposato con la conduttrice televisiva Caterina Balivo (foto © Cosimo Buccolieri)

Ripete spesso che gli elevati livelli di risparmio degli italiani sono il petrolio del Paese, ma com’è allora che nessuno, né le nostre banche né le istituzioni politiche ed economiche hanno saputo metterlo a frutto?
Proprio perché, come accennavo prima, le istituzioni hanno abdicato dal loro ruolo. La serie mette proprio i tiranti sul grande problema degli anni 70-80, quando si è immaginato di vivere in un mondo di pari opportunità per tutti, cosa che poi non si è verificata, dove la politica doveva togliersi di torno perché lo Stato si sarebbe auto-regolamentato affidandosi alla libera iniziativa privata. Un modello che è poi morto per il sopravvento di una sorta di legge della giungla dove i deboli hanno avuto la peggio.

Concorda con chi descrive l’investitore medio italiano come eccessivamente prudente?
L’investitore italiano non è troppo prudente, ha una naturale propensione al risparmio. Se il nostro Paese ha resistito alle intemperie economiche, si deve all’alto tasso di risparmio e alla ricchezza privata degli italiani. Forse, la minore propensione al rischio rispetto alla media internazionale, è dovuta al fatto che a volte – a causa della burocrazia – da noi è più difficile fare impresa.

È indubbio che la ripresa del Paese debba essere il più possibile rapida. Da dove partire?
Provocando essenzialmente tre shock, a carattere fiscale, monetario e sanitario. Il primo deve infondere una forte liquidità nel sistema, ma – come il cortisone – deve avere un effetto di breve durata altrimenti può provocare forti distorsioni. Quello fiscale invece è la leva decisiva, sulla distanza, per far ripartire il Paese. Mentre avere una sanità efficiente dovrà sempre più essere un imperativo non solo statale o continentale, ma addirittura globale.

Per ridare liquidità alle imprese, crede che gli strumenti previsti siano sufficienti?
È essenziale che la liquidità arrivi in abbondanza e velocemente, e questo – al netto delle solite vischiosità del sistema Italia – in parte è stato fatto. La reazione dei banchieri centrali in tal senso è stata abbastanza immediata. Poi è chiaro che iniettare questa liquidità nelle singole arterie produttive è complicato. Io ho proposto addirittura la possibilità di prestiti tra singoli cittadini: una sorta di microcredito tra privati e pmi con detrazione fiscale agevolata.

Sono sorti degli appelli affinché la pandemia sanitaria non si trasformi in pandemia statalista. Si teme che il ricorso a un eccessivo intervento dello Stato nella soluzione della crisi inibisca la sana iniziativa privata e imprenditoriale.
Lo Stato deve farsi carico dei problemi. Solitamente il debito deve muoversi come una fisarmonica, e la sua espansione è il tipico elemento per riequilibrare una situazione come quella che stiamo vivendo. L’imperativo categorico deve essere di non far morire le attività economiche.

Come immagina il mondo post-coronavirus?*
Esistono due tipi di immaginazione, l’utopia e la distopia. La prima ambisce a una collettività che finalmente si unisce per fronteggiare un nemico comune ed esterno, collettivizzando i saperi, i presidi sanitari, le tecnologie. Nella seconda invece il mondo si chiude, si alzano muri per vivere in isolamento. Solo che i muri non fermano i virus… Quindi, voto per l’utopia, altrimenti la tragedia che stiamo vivendo si rivelerebbe l’ennesima occasione mancata.

Guido-Maria-Brera-Cover-Business-People

Guido Maria Brera in cover su Business People di maggio 2020. L’intervista è tratta da questo numero

E come immagina l’Italia?
Come il posto più bello in cui vivere, un Paese che – se solo lo volesse – a seguito di questa pandemia potrebbe definitivamente affrontare i problemi che lo assillano da decenni. Penso che per la prima volta l’Italia possa approfittare di questa safety car che è entrata in pista come nelle gare di Formula 1, in cui tutti quanti ripartono dall’inizio, per cominciare a investire sulla valorizzazione e la salvaguardia della sua bellezza artistica e ambientale. Dobbiamo renderci conto che – al di là delle solite celebrazioni di circostanza – molte città italiane, come Milano, per chi ci abita sono delle vere e proprie camere a gas. Se la pandemia ci farà finalmente capire che è ora di cambiare registro, allora l’immane sofferenza che ha provocato non andrà sprecata.

Sembra che dal 2014 con I diavoli e adesso con La fine del tempo per lei sia diventata parte integrante della sua attività non solo farla la finanza, ma anche raccontarla. Perché?
Ho voluto rappresentare il passaggio epocale in cui la finanza è diventata uno strumento politico che entra nelle vite delle persone. Le vicende di Massimo Ruggero, il protagonista di entrambi i romanzi, sono emblematiche in tal senso, Ho sempre voluto raccontare il presente e immaginare il futuro, e la letteratura è una dimensione ideale. Se con la finanza si rimane agganciati al presente, ai numeri, con la letteratura si può viaggiare nel tempo.

Lei sembra avere un rapporto particolare col tempo. Il sottotitolo del suo online publisher, idiavoli.com, è “decodificare il presente per raccontare il futuro”. Il titolo del suo ultimo romanzo è La fine del tempo. La sua società si chiama Kairos, in greco “il momento giusto”.
Kairos è quel particolare attimo fuggente che abbiamo imparato a conoscere anche in letteratura. Nella mitologia Kairos era un dio greco che dietro la testa aveva tagliato i capelli a zero, per non farsi afferrare da chi lo inseguiva, mentre davanti si era fatto crescere un lungo ciuffo, per farsi trascinare da chi gli stava davanti. Capire qual è il momento giusto per fare le cose è essenziale nella vita. Quello che noi definiamo Kairos in inglese si chiama timing e coincide con il momento delle scelte: quando un attimo dopo è troppo tardi e un attimo prima è troppo presto.

Come si arriva a questa comprensione: questione di intuito, s’impara o ci si nasce?
In parte è un talento naturale, che però va coltivato attraverso lo studio. Per quanto mi riguarda, lascio agli altri stabilire se ho talento, ma certamente ho studiato tantissimo per cercare di essere sempre un passo avanti. E questo vale certamente in finanza, ma è assimilabile a qualsiasi altro ambito professionale.

Un’ultima curiosità. Ha capito perché, se si vuole avere successo nella City londinese, non bisogna mai indossare scarpe marroni?
Effettivamente, nella City le scarpe marroni sono tabù: equivale a indossare un piumino su una spiaggia di Riccione a Ferragosto. Credo che dipenda dal rigore stilistico inglese, che impone le tinte scure del grigio, del blu e del nero che in effetti non si adatterebbero a delle scarpe marroni.

Quando in una sua intervista ho letto di questa fissazione di broker e banchieri inglesi, ho pensato che fosse un vezzo scaramantico, come il viola per gli artisti.
Non escludo che possa esserci del vero in quanto dice (ride).


* Intervista pubblicata sul numero di Business People di maggio 2020, disponibile online in versione integrale dal 13 settembre 2023

 

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Era il 1994 quando Guido Maria Brera ha iniziato il suo percorso in Fineco, dove ha ricoperto il ruolo di gestore del fondo Cisalpino Bilanciato e del fondo Cisalpino Indice. In seguito è stato responsabile del proprietary trading di Giubergia Warburg. A 28 anni ha contribuito a fondare il Gruppo Kairos, attivo nel risparmio gestito, di cui attualmente è Cio Asset Management. È sposato con la conduttrice televisiva Caterina Balivo